#VACANZECL - Il silenzio e il giorno "dopo"

Il bisogno di un "perché" ai «fatti che sembrano fregarci». Poi le domande davanti alla bellezza della Marmolada o degli amici. E l'incapacità di sopportarsi, la paura del “lunedì”... Una ragazza di Forlì racconta la settimana con GS a Mazzin di Fassa

Quest'anno le comunità di GS di Forlì, Lugo, Faenza, Ravenna e Imola si sono ritrovate per una settimana a Mazzin di Fassa. Il titolo del campo aveva il suono di un promemoria: “Tutto è per te”.
Già alla prima sera, i canti hanno presentato le varie comunità in un inizio festoso. I momenti di pausa al bar o a cena erano un'opportunità per guardarsi negli occhi. Cosa sta cominciando? Cosa significa per me la vacanza di GS, se per riuscire a venire mi sono impegnata, con tutti i mezzi possibili?

Nei giorni successivi al primo si sono alternate gite tra prati verdissimi e pareti di roccia e giornate dedicate alla sfilata di apertura del giocone, alle attività libere e alle sfide tra le città. In particolare, della gita lunga in cui don Leo ci ha guidati, conservo lo stupore che ho provato avanzando sulla roccia, che sembrava fatta apposta perché noi ci aggrappassimo: a me, che soffro di vertigini e mai mi avventurerei per una ferrata, sembrava che quelle pietre fossero fatte apposta perché io appoggiassi i piedi e trovassi appiglio senza avere paura. Inoltre, i fiori non mancavano e nel silenzio meravigliato puntavamo le dita là dove scorgevamo i colori più vividi o le forme più fantasiose.

Le nostre guide ci hanno spesso rimandati a cosa il silenzio significasse per loro. È stato costante il richiamo a esso. Tra noi ci domandavamo il perché della Messa di ogni giorno, delle Lodi e, come se tutto questo non bastasse, del silenzio. C'è tra di noi qualcosa per cui non c'è bisogno di chiacchierare il più possibile, sballarci il più possibile? Don Stefano, nell'omelia della Messa fatta al termine della sgambatina di fronte alla Marmolada, ha sfidato ognuno a lanciarsi al di là del «che bello: lo prendo», che sorgeva in noi non solo di fronte ai fiori, ma anche alle montagne, fino allo stare insieme.



La Scuola di comunità è stata per me un grande aiuto. Il richiamo che “Tutto è per me” era battente e ognuno lo raccontava, accompagnato a penetrare nel sentimento di "stare bene" oppure offrendo l'esperienza dell'abbandono, dell'incapacità a sopportarsi, della paura del “lunedí”, perché “è finito tutto”. La meraviglia di vivere insieme ogni cosa, dalla condivisione della camera al cantare nel coro, era occasione di trarre fuori il meglio di noi: noi stessi.

Davanti alla testimonianza offerta da Gigi e Ciccio, due amici di Bologna, il silenzio è stato totale, non per rispetto né imposizione, ma per ascoltare come due vite ferite dal dramma della perdita del lavoro o della malattia del figlio si rialzano perché la gioia è di vedere che ogni cosa viene e avviene perché Dio vuole te, vuole me. Quei due ci hanno fatto ridere fino alle lacrime, e hanno lasciato anche delle perplessità o delle domande. Io mi sono accorta che nei giorni successivi all’incontro con loro anche le circostanze dolorose vissute con qualche amico non erano estranee o diverse dall'esperienza che Gigi e Ciccio fanno. Tutto è per me, tutto sembra premere in una direzione: ma perché? Perché tutto è per me?

Il giorno dopo la serata conclusiva, di frizzi, musica, gara di ballo e cantata, i ragazzi che hanno parlato in assemblea hanno raccontato che c'è stato per loro un perché al dolore, un perché ai fatti che sembrano fregarci, un perché alla fiducia in chi guida.



Quando nel viaggio di ritorno in pullman, ho fatto silenzio, mi sono detta: «Maria, questo ti porti a casa: il tuo cuore è prezioso». In una settimana di campo, abbiamo convissuto, condiviso noi stessi, sia che fossimo allegri sia che ci sentissimo abbattuti dalla nostalgia, ma nel mio cuore ho riconosciuto un punto di certezza, quando i miei pensieri non me ne danno. Dentro di me, ho qualcosa per cui so esattamente dove vado, perché tutto è per me. Mi sentivo un po’ in colpa a raccontare a don Stefano che, finita la vacanzina, non c'è stato alcun momento di nostalgia del campo, quando io pensavo che la tristezza mi avrebbe rapita in un balzo. Neanche un attimo di nostalgia, perché? Seguire quello che mi ritrovo dentro, mi ha portato a vivere nel modo più vero e totale quel che è successo dopo la settimana a Mazzin. Tutto è per me, ma voglio accorgermene!
Maria, Forlì